Gioco d’azzardo
Sempre più italiani, soprattutto quelli in difficoltà economica, tentano la fortuna spendendo i propri risparmi, e non solo, nei videopoker, nelle slot, nei “gratta e vinci” etc.
Questo quadro è confermato anche dai dati delle varie camere di commercio del territorio che rivelano come le attività nel “settore gioco” siano, anche nel 2017, cresciute in media del’11% sul territorio nazionale, evidenziando quindi come tale fenomeno continui a dilagare in modo incontrastato senza contare che oggi le scommesse vengono fatte soprattutto in rete comodamente da casa. Ne consegue che il gioco d’azzardo ha accessibilità immediata, spesso superiore alla possibilità di sviluppare dipendenza da sostanze. È altresì importante ricordare che il gioco d’azzardo è di per sé legale, mentre la vendita di droghe è spesso perseguita penalmente.
Inoltre è interessante notare come ormai la ludopatia stia coinvolgendo le varie fasce sociali in modo del tutto trasversale sia per quanto riguarda l’età dei giocatori sia per quanto riguarda la loro estrazione sociale.
Per chi è vittima di ludopatia, il gioco è come una droga, ha bisogno di tornare spesso a scommettere altrimenti perde completamente il controllo di sé, per riprendere il controllo e limitarne l’effetto dopo il fatto, il meccanismo della coazione a ripetere di Freud spiega benissimo questo concetto.
Si può arrivare a soffrire di vere e proprie “astinenze da gioco” che possono portare ad attacchi di panico, depressione ed altre psicopatologie.
Chi gioca d’azzardo sfida la sorte e trasferisce nel rischio la responsabilità della sconfitta o della vittoria ad un’entità esterna, impersonata appunto dalla sorte, dal fato, dal destino e da ogni presenza soprannaturale immaginabile. Vincendo d’azzardo si dimostra di essere i prediletti del fato, si dimostra di aver vinto su qualcosa di trascendente, viceversa è possibile discolparsi con estrema facilità replicando che il fato è cattivo con noi, che siamo maledetti o altre scuse di fatto. Il gioco d’azzardo offre dunque una tensione nettamente superiore ai giochi dove l’artificiosità è fornita da regolamenti capillari e allenamenti affaticanti.
In una dimensione psicoanalitica si può affermare che i «pensieri magici» del giocatore, come detto poc’anzi, lo trasportano in una dimensione alogica, di inconscia, all’interno della quale riemerge un sentimento d’irrealtà da cui il giocatore patologico attinge la propria megalomania, ovvero si trova in uno stato fusionale con la madre, incapace di staccarsi dalla problematica della perdita. Chi non riesce ad accettare la perdita dell’onnipotenza e trovare la pace interiore è costretto a soffrire di questa perdita finché l’Io non troverà un modo per cui la realtà non faccia troppo male, per cui non sia triste.
Per chi è colpito da tale patologia è fondamentale prendere coscienza di tale problematica e chiedere aiuto ad un familiare o un amico o direttamente ad un terapeuta che possa aiutarlo a comprendere di dover affrontare, con l’aiuto di un professionista, un problema serio ed importante. In linea generale è bene ricordare che gioco e realtà sono salutari fino a quando non si incontrano, dal momento che si intersecano l’uno inquina il mondo dell’altro.