Cos’è per te la felicità?
Il 20 marzo è la giornata Internazionale della Felicità, lo ha stabilito l’ONU, ma perché l’ONU ha deciso di dedicare un’attenzione speciale alla felicità, e soprattutto per te cos’è la felicità?
Anch’io mi sono fatta questa domanda e in verità non saprei dare una facile risposta … forse perché la domanda è un po’ scomoda. Siamo abituati a riflettere molto di più sulle cose che non vanno bene, che pensiamo di dover raggiungere e che mancano, ma non ci soffermiamo mai a pensare e riflettere che la felicità può trovarsi anche nelle piccole cose, cioè nel riconoscere il sapore di ciò che facciamo che ci piace.
L’ONU vorrebbe evidenziare che ogni persona ha il diritto ad essere felice, ma è bene ricordare che questo diritto porta con sé anche dei doveri: il dovere di cercare la felicità, di riconoscerla e poi di raccontarla.
La felicità non viene dal nulla e sembra proprio che si possa costruire: bisogna imparare ad avere un approccio positivo alla vita. Come fare?
Se prevediamo qualcosa di negativo, è facile che si realizzi, non perché debba necessariamente avverarsi, ma perché con il nostro atteggiamento incerto e timoroso facciamo in modo che accada: una specie di “profezia che si autodetermina”. In psicologia e sociologia questo principio è stato ampiamente studiato: si tratta di un meccanismo psicologico che si instaura quando un individuo convinto o pauroso del verificarsi di avvenimenti futuri, altera il suo atteggiamento in modo tale da finire per causarli. A tutti sarà capitato di sostenere la preparazione di un esame tralasciando un argomento perché ostico o per mancanza di tempo o altro e di andare all’esame con la paura che ci chiedessero proprio questo argomento, e che succede? siamo proprio noi a direzionare il discorso proprio su tale argomento, seppur involontariamente, questo perché è ben presente nella nostra mente.
Buona norma allora sarebbe rovesciare questa tendenza in positivo: più siamo ottimisti e sicuri che qualcosa andrà bene, più è facile che si ottengano i risultati sperati.
Infatti, la mente ha la possibilità di modificare una situazione disagevole, di eliminare una fobia, alleggerire la pressione di una cattiva notizia e tanto altro ancora, ad esempio immaginando a occhi chiusi di essere in un fantastico posto rilassante. Molti sportivi usano questa metodologia, denominata visualizzazione per rivivere le loro migliori prestazioni, in modo da condizionare positivamente lo stato fisiologico, dandogli una linea guida in funzione di una gara.
Provate a scambiare qualche battuta con chi pratica il gioco del golf da molto tempo, sa perfettamente che deve immaginare dove vuole far cadere la pallina, addirittura simulando prima del colpo effettivo un movimento di prova a vuoto. Il pensiero inconsciamente genera delle coordinate per il movimento della muscolatura. Per questo motivo quando pensiamo allo sbaglio, è matematico che si palesi.
Imprenditori e professionisti utilizzano la visualizzazione in positivo, a volte anche inconsapevolmente, per vedere realizzati progetti e situazioni lavorative. Quest’ abilità, di vivere anche la parte emozionale del successo di un progetto, crea una vera e propria alterazione spazio tempo, che permette di vivere in anticipo la riuscita, scongiurando la paura insita in ogni nuova situazione da affrontare, aumentando perciò le possibilità di riuscita del progetto. Azione, più fattore emotivo, determinano il massimo dell’influenza a prescindere se il campo d’azione sia la realtà o la fantasia.
Insomma occorre allenamento anche in questo, ricordando che lo scoglio principale, talvolta, non è l’avversario o la casualità ma siamo noi.
Dipende da quanto siamo alleati di noi stessi perché c’è sempre un antagonista interiore con cui confrontarci.
Il nostro disturbatore potrebbe essere una bassa autostima e sapendolo bisognerebbe lavorare per colmare le nostre debolezze. In che modo? Cambiando ottica con la quale ci si rivolge alle difficoltà della vita. Un altro esercizio potrebbe essere quello di non parlare al negativo, cioè nel momento in cui dico non devo essere agitato, è come se già avessi rappresentato questo stato e quindi proverò agitazione, anche perché il nostro cervello ha la peculiarità di non percepire una negazione anteposta a un comando, altro esempio, se dicessi: “cercate di non immaginare un cagnolino con un cappellino giallo che cammina al guinzaglio …” Siete riusciti a non immaginare? Non credo. Sarebbe utile porre tra noi e ciò che ci spaventa una “distanza” che ci permetta di prendere spazio e tempo e valutare le diverse opportunità, per arrivare più facilmente alla meta senza essere fagocitati da un contesto valutato soltanto dalla nostra prospettiva del momento. Inoltre è bene focalizzarsi più sull’essere che sull’avere, nutrendo i nostri interessi e le esperienze che ci provocano piacere e che ci fanno stare maggiormente in contatto con noi stessi. Buon esercizio!